Pollock

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Nasce nel Wyoming nel 1912.. a Cody.. tra i posti più desolati degli stati uniti d’america. Suo padre era agricoltore poi prese a lavorare per lo stato mentre continuava a cresce tra l’arizona e la California. Tra il 1917 e il 1928 Jackson conosce personalmente la vita dei pellerossa, frequenta una riserva indiana e partecipa ad alcuni riti tribali, un insegnante gli fa conoscere le teorie di Jiddu Krishnamurti un filosofo apolide Teosofico, le cui parole lo accompagneranno durante tutta la sua vita.

“La scelta c'è dove c'è confusione. Per la mente  che vede con chiarezza non c'è necessità di scelta, c'è azione. Penso che molti problemi scaturiscano dal dire che siamo liberi di scegliere, che la scelta significa libertà. Al contrario, io direi che la scelta significa una mente confusa, e perciò non libera.”(da Un modo diverso di vivere)

 

 

 Dalla Hight School di Reverside arriva all’Art di Los Angelse, venne espulso lo stesso anno. A 15 anni era già nella spirale dell’alcoolismo. A 18 comincia a muoversi in autostop,  arriva a new yorck, si iscrive alla Art Students League, segue i corsi di Thomas Benton dove comincia a segnare la sua formazione artistica. Erano gli anni in cui il centro del commercio dell’arte si spostava dall’europa negli stati uniti, e lui continuava crescere. Riscopre la cultura pellerossa, conosce il muralista messicano Diego Rivera e qualche anno dopo comincia a lavorare con David Alfaro Siqueiros, grazie a delle mostre al Moma si avvicina alle avanguardie europee pare cercando una sintesi tra cubismo, dada, surrealismo ed espressionismo astratto. Nel frattempo ci furono altri importanti incontri: nel 1939 la pittrice Lee Krasner  che diventerà poi sua moglie. Dal punto di vista artistico fu decisiva la partecipazione a una performance di artisti navajo che nel 1941, al Moma, eseguirono disegni di sabbia sul pavimento. La psicanalista junghiana Violet Staub de Laszlo, che dal 1937 aveva in cura Pollock, testimoniò le numerose discussioni avute con il paziente a proposito dell’arte pellerossa, la sentiva dentro come “una specie di sciamanica, primitiva attitudine verso le immagini”. Caratteristiche di quel periodo sono le immagini totemiche, cariche di simboli magici e sessuali.

  

Ma la svolta avvenne nel 1943, quando a una mostra tenuta alla galleria Art of This Century, aperta l’anno precedente dalla collezionista Peggy Guggenheim. Peggy, affascinata dai dipinti di Pollock, gli commissionò un grande quadro per la propria villa newyorkese, che immaginava ispirato ai lavori di Picasso; ma non fu così. Per alcuni mesi Pollock restò chiuso nello studio-granaio di Long Island, dove viveva assieme alla moglie. Era depresso, sconvolto dall’alcool, incapace di sfiorare la tela, che restava bianca sul cavalletto, finché una notte una forza misteriosa, una luce, uno schizzo, s’impadronì di lui e animò il suo corpo; Pollock gettò la tela sul pavimento e, senza alcun controllo, cominciò a danzarle intorno cospargendola di simboli ignoti che subito dopo inondava di colori. Restò in preda a quella furia creativa per due giorni e quando smise di dipingere si trovò davanti a un capolavoro sconosciuto. Quel dipinto “selvaggio” conquistò Peggy Guggenheim e aprì a Pollock le porte del successo internazionale.
 

 

 

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Negli anni seguenti continua ad approfondire la sua tecnica fino ad arrivare all’action painting. Mentre ascoltava la musica jazz sentiva la pittura nascere in lui come se fosse un essere vivente che tenta di uscire alla luce; comincia così a vivere l’esperienza creativa come un gesto sacro capace di provocare una trasformazione interiore. Questa consapevolezza lo spinse ad abbandonare l’alcol per tre anni, fra il 1947 e il 1950. In questo periodo avvenne una nuova svolta stilistica con l’assimilazione del dripping, una tecnica già usata dai surrealisti Max Ernst e André Masson. 

Le idee non sono la verità; la verità è qualcosa che deve essere sperimentata direttamente, di momento in momento. (da La  ricerca della felicità)

 

 

Negli anni seguenti continua ad approfondire la sua tecnica fino ad arrivare all’action painting. Mentre ascoltava la musica jazz sentiva la pittura nascere in lui come se fosse un essere vivente che tenta di uscire alla luce; comincia così a vivere l’esperienza creativa come un gesto sacro capace di provocare una trasformazione interiore. Questa consapevolezza lo spinse ad abbandonare l’alcol per tre anni, fra il 1947 e il 1950. In questo periodo avvenne una nuova svolta stilistica con l’assimilazione del dripping, una tecnica già usata dai surrealisti Max Ernst e André Masson. 

 

 

 

 

 

Le idee non sono la verità; la verità è qualcosa che deve essere sperimentata direttamente, di momento in momento.

(da La  ricerca della felicità)

« Non dipingo sul cavalletto. Preferisco fissare le tele sul muro o sul pavimento. Ho bisogno dell'opposizione che mi dà una superficie dura. Sul pavimento mi trovo più a mio agio. Mi sento più vicino al dipinto, quasi come fossi parte di lui, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorarci da tutti e quattro i lati ed essere letteralmente "dentro" al dipinto. Questo modo di procedere è simile a quello dei "Sand painters" Indiani dell'ovest. Continuo ad allontanarmi dai tradizionali strumenti del pittore come cavalletto, tavolozza, pennelli ecc. Preferisco bastoncini, cazzuole, coltelli e lasciar colare il colore oppure un impasto fatto anche con sabbia, frammenti di vetro o altri materiali. Quando sono "dentro" i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di "presa di coscienza" mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l'immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. È solo quando mi capita di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e scadente.

Altrimenti c'è una pura armonia, un semplice scambio di dare ed avere e il quadro riesce bene. »

 

 

nel 1947 Peggy Guggenheim chiuse l’Art of this Century.  Si rivolse a Sidney Janis, famoso esperto di arte astratta e surrealista. Janis ebbe maggior fortuna e riuscì a far lievitare prezzi, ma in tutta la sua vita Pollock non si vide mai offrire più di 8000 dollari per un quadro e non poté mai raggiungere la tranquillità economica. Nell’autunno del 1950 il fotografo Hans Namuth realizzò un documentario che ritraeva Pollock alle prese con i monumentali dipinti che sarebbero diventati i suoi capolavori. La prima volta che si videro quando arrivò nel granaio si trovò una situazione strana :

 « Una tela coperta di colore ancora fresco occupava tutto il pavimento... Il silenzio era assoluto... Pollock guardò il quadro, quindi, all'improvviso, prese un barattolo di colore e un pennello e iniziò a muoversi attorno al quadro stesso. Fu come se avesse capito di colpo che il lavoro non era ancora finito. I suoi movimenti, lenti all'inizio, diventarono via via più veloci e sempre più simili ad una danza mentre gettava sulla tela i colori. Si dimenticò completamente che Lee ed io eravamo lì; sembrava non sentire minimamente gli scatti della macchina fotografica... Il mio servizio fotografico continuò per tutto il tempo in cui lui dipinse, forse una mezz'ora. In tutto quel tempo Pollock non si fermò mai. Come può una persona mantenere un ritmo così frenetico? Alla fine disse semplicemente: “E' finito.”

 

 Verso la fine delle riprese l’artista che da due anni aveva smesso di bere ripiombò tragicamente nel vizio dell’alcol.  L’11 agosto del 1956 tornava a casa ubriaco, con lui c’erano due donne, forse una di queste era la moglie,  si andò a schiantare contro un albero, morì così.